Secondo il nuovo rapporto di McKinsey, Beyond the supercycle: how technology is reshaping resources (sintesi allegata in basso), la spesa complessiva per queste cinque commodity ha superato il 6% del Pil mondiale nel periodo considerato, come evidenzia il grafico sotto. Un boom simile si era visto solo in un’altra occasione, precisamente alla fine degli anni ’70.
La chiusura del super-ciclo, si legge nel documento, è stata evidente nel 2015, quando i prezzi dei combustibili tradizionali e dei metalli sono crollati. Così mentre le compagnie del settore stanno ancora raccogliendo i cocci, il picco della domanda di fonti fossili si sta avvicinando.
Varie volte su queste pagine abbiamo cercato di capire quale sarà il “potere perturbatore” (disruptive power) di qualche tecnologia: ad esempio, abbiamo citato uno studio di Carbon Tracker che è molto ottimista sul ruolo futuro del fotovoltaico e della mobilità elettrica (vedi QualEnergia.it).
Consapevoli che le previsioni di questo genere rischiano di essere un po’ aleatorie – per eccesso o per difetto, dipende dai casi, ricordando però che negli anni passati la crescita delle rinnovabili è stata largamente sottostimata – vediamo le principali considerazioni di McKinsey.
Gli analisti ritengono che l’innovazione tecnologica inciderà moltissimo sulla riduzione dei consumi di risorse fossili. Robotica, Internet of Things (IoT), applicazioni digitali (vedi anche QualEnergia.it sui cambiamenti che dovranno affrontare le utility): tutti elementi destinati a modificare profondamente le abitudini delle persone e i processi produttivi delle aziende.
Lo schema sotto riassume gli scenari elaborati da McKinsey. Si tratta, in buona sostanza, di ridurre la domanda energetica con misure di efficienza nell’edilizia, nelle industrie e nei trasporti (termostati intelligenti, domotica, elettrificazione dei veicoli e così via), sostituire le centrali termoelettriche con impianti a fonte rinnovabile sfruttando la costante discesa dei loro costi, incrementare la produttività delle compagnie minerarie-fossili riducendo al contempo la loro intensità energetica.
L’economia mondiale potrebbe così ottenere risparmi incrementali nell’ordine di almeno 900 miliardi di dollari nel 2035, dovuti alle minori spese per l’acquisto delle cinque materie prime oggetto dello studio.
Come spesso accade in tali scenari, l’osservato speciale è la Cina, che dopo aver guidato il boom delle commodity per saziare la sua “fame” energetica, sta rapidamente trasformando la sua economia, rendendola meno vorace e più orientata alle rinnovabili.
McKinsey osserva che l’intensità energetica cinese per unità di PIL è diminuita del 70% dal 1980 al 2010; inoltre, nessun altro paese, India inclusa, replicherà un modello di industrializzazione così “pesante”, proprio perché potrà basarsi sui progressi tecnologici consolidati e quelli in procinto di diffondersi.
Guardiamo più in dettaglio i combustibili fossili. Nello scenario di “accelerazione tecnologica” (tech acceleration) lo studio ipotizza che la domanda di petrolio raggiungerà il picco intorno al 2025, per poi calare negli anni successivi. Nel 2035 sarà inferiore del 2% rispetto ai livelli del 2013 (sulle ipotesi dell’andamento futuro del mercato petrolifero vedi anche Petrolio: supply crunch dal 2018?).
Lungi da McKinsey, quindi, immaginare un’economia poco dipendente dall’oro nero: ne useremo meno che in passato, ma pur sempre una quantità considerevole, si afferma.
Per quanto riguarda il gas naturale, la domanda è data in crescita fino al 2025 e poi in leggera diminuzione; nel 2035 sarà +1% in confronto al 2013.
Il gas, in questo scenario, è considerato l’alleato fossile delle rinnovabili nella generazione elettrica. In realtà una considerazione tutta da verificare. A farne le spese sarà soprattutto il carbone, il cui picco è previsto nel 2020 seguito da un declino inesorabile: la domanda di questa materia prima, tra vent’anni, sarà inferiore del 24% se confrontata con quella del 2013.
Questo rapporto fornisce altre riflessioni sulle strategie che le aziende dovranno adottare nell’ambito della transizione energetica. Il rischio è rimanere intrappolati in una “bolla del carbonio” che a un certo punto scoppierà, lasciando dietro di sé una moltitudine di stranded asset, infrastrutture obsolete non più remunerative, come miniere, impianti a carbone eccetera (vedi anche QualEnergia.it).
Il punto è capire quanto sarà veloce questa transizione e se sarà sufficiente a contenere il surriscaldamento globale entro i due gradi centigradi, indicati dagli accordi di Parigi.
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